Dalla Open Innovation alla Open Company

Dalla Open Innovation alla Open Company

Organizzato da Enel, lo European Innovation Forum ha raccolto a Roma manager da tutta Europa per discutere degli sviluppi della Open Innovation. A coordinare i lavori l’economista Henry Chesbrough.

Era il 2003 quando in libreria usciva un volume che avrebbe cambiato per sempre il rapporto delle aziende con l’innovazione. Quindici anni dopo l’autore di The Era of Open Innovation, l’economista Henry Chesbrough, è stato protagonista allo European Innovation Forum, organizzato da Enel il 16 e 17 gennaio a Roma.

L’intuizione al centro del libro era semplice: la globalizzazione ha reso sempre più lenti e costosi i processi di ricerca & sviluppo interni, per competere e fare innovazione le aziende devono guardare all’esterno. Un approccio che negli anni si è imposto come un nuovo paradigma: oggi nessuna organizzazione di successo può rinunciare a guardare fuori dal proprio giardino per scoprire e coltivare idee nuove. Dalla Open Innovation non si torna indietro. “Quindici anni fa non avrei mai pensato che questa idea potesse diventare così popolare: oggi il libro continua a vendere più in Europa che negli Stati Uniti e nel resto del mondo” racconta Chesbrough.

Come spiega in apertura il CEO e General Manager di Enel Francesco Starace, fare innovazione è rompere abitudini consolidate, uscire dalla propria comfort zone ed avere anche il coraggio di sbagliare.

“Oggigiorno molte utility non sono innovative perché si sono sempre confrontate con un ambiente poco competitivo; tuttavia il nostro settore sta sperimentando una trasformazione senza precedenti. Enel è diventata un esempio di innovazione da quando ha deciso di affrontare il cambiamento, aprendosi alla competizione”

Francesco Starace, CEO e General Manager di Enel
 

Ai manager delle aziende e delle organizzazioni europee raccolte a Roma il responsabile Innovability del nostro Gruppo, Ernesto Ciorra, ha lanciato una sfida: come si passa dalla Open Innovation alla Open Company? Come si trasformano i processi interni perché un’azienda diventi tutta e pienamente innovativa?

 

Il fattore serendipity

Open Innovation è innanzitutto contaminazione: confrontare il proprio approccio all’innovazione con quello di aziende di altri settori. L’innovazione può nascere, per esempio, dalla serendipity, la fortuna di fare scoperte mentre si cerca altro, per caso, come ha raccontato Markus Nordberg, responsabile del Resource Development al Cern di Ginevra. È la storia della nascita del Web, inventato da Tim Berners-Lee proprio al Cern inizialmente solo per scambiare informazioni tra gli scienziati nel mondo. “Il problema è come sistematizzare la serendipty” ha aggiunto Nordberg il quale ha illustrato il paradosso che guida l’innovazione nel centro di ricerca sul nucleare di Ginevra: “Noi la chiamiamo Co-innovation che è una sintesi di competizione e cooperazione: gli scienziati competono tra loro ma questo è possibile solo se condividono informazioni e scoperte”.

Non solo. “L’approccio creativo nella soluzione dei problemi è fondamentale”. Al Cern tra le decine di migliaia di partner esterni che vengono coinvolti ogni anno per fare “Open Science” non ci sono solo fisici e ingegneri, ma anche designer e artisti. Il compito è quello di “aprire un’idea” (questa l’espressione usata da Nordberg) per esplorarne tutte le possibili declinazioni, anticiparne gli sviluppi, prevederne l’impatto sui clienti e sul mercato. E ancora, partire dalla user experience come cerca di fare il Design thinking pensando a soluzioni semplici per problemi complessi.

 

Verso la sostenibilità e gli Innovation Network

Ma quali sono i nuovi trend dell’innovazione nel mondo? La sostenibilità, innanzitutto, vista come un’opportunità di business. Come ha spiegato Ciorra, si deve passare dalla Open Innovation alla Open Innovability. Non basta più essere solo innovativi, ma si deve integrare la sostenibilità “per creare valore condiviso e questo lo si può fare solo innovando”. Un riferimento per molte organizzazioni sono i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu su quattro dei quali il nostro Gruppo si è impegnato concretamente, fissando obiettivi e tempistiche.

L’altra grande frontiera sono gli Innovation Network: non è più sufficiente guardare all’esterno, ma è sempre più importante creare ecosistemi aperti, vere e proprie piattaforme nelle quali anche il feedback del cliente diventa un motore dell’innovazione.

I potenziali interlocutori sono moltissimi: non solo startup e università, ma fornitori, partner industriali, comunità di innovazione, crowdsourcing, consumatori. Il nostro Gruppo, come ha spiegato Francesco Starace, sta rapidamento espandendo la rete dei suoi Innovation Hub nel mondo, da San Francisco a Mosca a Tel Aviv: “Non sono semplici punti di osservazione ma veri e propri collettori ed incubatori di idee per la risoluzione di problemi”, ecosistemi di innovazione, appunto. “Le idee poi possono diventare opportunità di business, come dimostra la nascita di Enel X”.

Altri ingredienti fondamentali della Open Innovation sono il coraggio di porsi obiettivi ambiziosi (“big goals not small”), un chiaro mandato da parte del top management, la trasparenza e la flessibilità dei processi, l’abilità nel ridurre il costo degli errori, la capacità di diffondere all’interno dell’azienda l’innovazione raccolta all’esterno. La Open Company, appunto.

“Non esiste un settore a parte che fa innovazione: l’innovazione è embeddata nel Gruppo Enel, noi siamo al servizio delle diverse business line che fanno innovazione”

Ernesto Ciorra, responsabile Innovability di Enel
 

C’è anche chi si concentra sui modelli di organizzazione e teorizza il passaggio dall’era della burocrazia (gerarchie) e della meritocrazia (competenze) a quella della adhocrazia (azione), la costruzione di gruppi agili, fluidi e orizzontali, più capaci di prendere decisioni rapide nell’era digitale. È l’approccio suggerito dal professore della London Business School Julian Birkinshaw nel suo libro Fast/Forward. Make your company fit for the future.

La Open Innovation è un work in progress. La due giorni di Roma non ha sciolto tutti i dubbi, alcuni sono rimasti nell’aria: innovazione aperta ma quanto aperta? È meglio sia graduale (incremental) o rivoluzionaria (disruptive)? Come si proteggono le idee se si condividono con gli altri? Esiste un limite alla trasparenza interna ed esterna? Domande che torneranno al prossimo grande appuntamento, la World Open Innovation Conference, fissato per dicembre 2018 alla Haas School of Business dell’Università di Berkeley. Padrone di casa, ovviamente, colui che per primo ha dato nome a tutto questo: Henry Chesbrough.