Verde è l’unico colore dell’idrogeno “pulito”

Verde è l’unico colore dell’idrogeno “pulito”

Si parla di idrogeno verde, blu, grigio. Di bruciarlo o usarlo nelle celle per generare elettricità. Di distribuirlo nei metanodotti o in grandi hub. Nicola Armaroli, scienziato del CNR, ci spiega quali sono le scelte giuste in un’ottica sostenibile, verso un futuro a zero emissioni. Una linea che Enel, da “Renewables Super Major”, condivide in pieno.

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Il mondo deve ripartire e l’energia sarà una delle chiavi per farlo. Lo sottolinea l’Onu, nel suo SDG 7 (Sustainable Development Goals) per una distribuzione equa e sostenibile di questa risorsa di valore inestimabile. Ma lo sostengono anche molti paesi che oggi stanno sviluppando i loro piani per ripartire dopo la pandemia. Tra questi l’Italia, che nel suo Recovery Plan punta sulla transizione energetica, e in particolare sull’idrogeno, per un futuro senza emissioni e con edifici, industria e trasporti più efficienti.

 

Una molecola che in natura non c’è

Sull’idrogeno, però, e su quale utilizzare, si sentono opinioni contrastanti. Per avere un quadro più chiaro dello scenario ne abbiamo parlato con Nicola Armaroli, scienziato, saggista e direttore di ricerca dell’Istituto ISOF - Consiglio Nazionale delle Ricerche, Unità PHEEL. «Innanzi tutto», spiega, «quando parliamo di idrogeno come vettore energetico intendiamo la sua forma molecolare, H2, che non esiste in natura e, quindi, va prodotta».

 

Colori che hanno un significato

Sì, ma come? Il tema centrale, oggi, riguarda proprio le tecnologie utilizzate per ottenere l’idrogeno molecolare, che sono diverse e che i tecnici hanno iniziato a distinguere aiutandosi con i colori. «Si parla di idrogeno grigio», dice Armaroli, «per quello ottenuto da metano, mentre è marrone quello ricavato dal carbone. L’idrogeno verde è quello prodotto dall’acqua grazie all’apporto di elettricità rinnovabile, utilizzata per fornire energia agli elettrolizzatori in cui la molecola di H20 viene scissa in ossigeno e idrogeno. E poi c’è l’idrogeno blu, ottenuto a partire dal metano come per il grigio, ma catturando poi l’anidride carbonica risultante dal processo per stoccarla nel sottosuolo».

 

L’idrogeno blu? Non è una prospettiva concreta

Ed è qui che si ingenera la confusione per chi cerca di informarsi e sente tante voci diverse. Qual è l’idrogeno veramente ecosostenibile, quello ottenuto senza produrre emissioni? «Non può che essere l’idrogeno verde», dice Armaroli, «e spiego anche il perché. Il processo di produzione dal metano ha come sottoprodotto la CO2. Ma l’umanità ha il problema di un eccesso di produzione di questo gas, che altera la termoregolazione del pianeta. Chi sostiene la strada dell’idrogeno blu, dicendo che il problema della CO2 verrà risolto confinandolo nel sottosuolo, non spiega che oggi siamo molto indietro con le tecnologie di sequestro dell’anidride carbonica. Tutti i grandi progetti avviati in questa direzione, per esempio in Texas e in Australia, sono stati un fallimento, si sono dimostrati estremamente costosi, difficili da realizzare e anche nel caso in cui se ne dimostrasse la fattibilità non si tratterebbe comunque di una tecnologia a zero emissioni. In sostanza, oggi non esiste alcuna prospettiva concreta di produrre idrogeno blu».

 

La tecnologia degli elettrolizzatori

A che punto è invece lo sviluppo tecnologico dell’idrogeno verde? «Si basa sull’impiego degli elettrolizzatori», dice ancora Armaroli, «per i quali ci sono ancora problemi da risolvere, come per esempio quello dell’intermittenza dell’alimentazione elettrica da fonti rinnovabili, ma che sono già ampiamente affidabili. La loro tecnologia è molto più avanti rispetto al sequestro della CO2 e sicuramente, entro una decina d’anni, potrebbe portarci a realizzare in Europa numerosi grandi hub di produzione e distribuzione dell’idrogeno verde. Nel nostro continente siamo molto avanti nello sviluppo degli elettrolizzatori. Abbiamo un vantaggio tecnologico in questo ambito, e dovremmo approfittarne».

 

Idrogeno verde: come usarlo al meglio

Una volta prodotto l’idrogeno, a questo punto verde, occorrono scelte strategiche per utilizzarlo al meglio.

«L’uso più intelligente che possiamo fare dell’idrogeno», spiega Armaroli, «è dove non sono disponibili alternative migliori. Per esempio, non avrebbe molto senso utilizzarlo nelle celle a combustibile per le automobili e nel trasporto leggero, perché i motori elettrici a batteria si dimostrano già altamente efficienti e non esiste una rete capillare di distribuzione dell’idrogeno. Ma per il trasporto pesante, per esempio per camion a lunga percorrenza, aerei o navi, l’idrogeno usato nelle celle a combustibile sarebbe l’ideale, perché per i veicoli di grandi dimensioni la ricarica elettrica è molto complicata, se non improponibile». Un altro utilizzo intelligente dell’idrogeno è nell’industria pesante, per rendere sostenibili i settori cosiddetti “hard to abate”. «Per esempio», specifica lo studioso, «nel comparto siderurgico, dove l’idrogeno verde può rimpiazzare il carbone per ridurre gli ossidi metallici e separarli dall’ossigeno, per ottenere ghisa, ferro e acciai».

 

Non bruciare, ma elettrificare

Non avrebbe alcun senso, invece, impiegare l’idrogeno come combustibile, per bruciarlo. «Per questo scopo», dice ancora Armaroli, «abbiamo già il metano, disponibile in natura. Sarebbe uno spreco sostituirlo con l’idrogeno, ottenuto con processi costosi e complessi. Ma la realtà, su questo punto, è che noi dovremmo definitivamente uscire dalla logica della combustione. I sistemi termici sono largamente inefficienti, con sprechi elevati, al contrario di quelli elettrici». Per applicazioni nelle automobili, per esempio, o anche nel riscaldamento, la soluzione migliore dal punto di vista dell’efficienza sarebbe elettrificare, non bruciare.

 

Produrre vicino ai punti di consumo

La produzione di idrogeno verde consentirebbe anche di superare il modello energetico prevalente, basato sull’importazione delle fonti di energia che ci servono. Il modello ottimale è collocare gli elettrolizzatori vicino a impianti rinnovabili, a loro volta vicini ai punti di consumo dell’idrogeno. Il fotovoltaico e l’eolico sono tecnologie ampiamente disponibili e a costi sempre più bassi. «Perché questo possa accadere», osserva Armaroli, «è però necessario potenziare le tecnologie rinnovabili. Per far fronte al fabbisogno italiano di idrogeno per l’industria pesante, per esempio, dovremmo almeno triplicare gli impianti fotovoltaici nella Penisola. Questo dipende ovviamente da scelte politiche, ma se si decide rapidamente, si può ragionevolmente fare in una decina d’anni».

 

Che cosa dobbiamo fare per il futuro

Quindi che cosa manca per costruire una vera economia dell’idrogeno? «Per produrre idrogeno verde», conclude Armaroli, «dobbiamo investire in impianti per produrre energia rinnovabile, in particolare da fotovoltaico. E poi dobbiamo concentrarci su ciò che sappiamo già fare: rinnovabili, elettrificazione, efficientamento, elettrolizzatori. Il tempo stringe. L’Europa entro il 2030 ha l’obiettivo di abbattere le emissioni del 55% rispetto al 1990. Vuol dire che nel prossimo decennio dobbiamo fare meglio e molto più velocemente che negli ultimi 30 anni».

Fare le scelte giuste, dunque, è quanto mai vitale, oggi più che mai.